Articolo pubblicato su Il Messaggero del 20/01/2021
I cinque tibetani sono un chiaro esempio di come una relazione equilibrata tra corpo e mente sia fondamentale in un percorso di pratica spirituale. Il corpo è centrale nel processo di meditazione non solo perché ci radica, ci permette di dimorare nell’esperienza, è un’ancora per la mente che tende a divagare. Ma è anche il veicolo attraverso cui contempliamo il nostro essere nel mondo. Attraverso il respiro, la vista, il tatto, le sensazioni. Meditare non è una semplice tecnica quanto piuttosto un aprirsi, senza aspettative, senza i filtri dei pensieri, dei giudizi, all’esperienza dell’esistenza con tutto il suo carico di mistero e imponderabilità.
Dunque, seguiamo la saggezza del respiro, prestiamo attenzione, senza giudicarli, ai pensieri che attraversano la mente come nuvole nel cielo. Ascoltiamo ciò che il corpo ci suggerisce di noi, come ci racconta chi siamo e come stiamo, mettendoci di fronte alle tensioni, all’ansia, alla stanchezza, ai desideri, alle aspettative o ai piani per il futuro. La mente farà di tutto pur di non stare lì, insieme a noi. Con pazienza e gentilezza, respiro dopo respiro, riportiamola a casa e semplicemente torniamo a contemplare quanto è sublime il momento che stiamo vivendo. Impariamo a prendercene cura.
Praticare ha a che fare con la possibilità che ci diamo di contemplare questo mistero senza pretendere di conoscerlo. Non si tratta di sviluppare una particolare abilità a stare seduti in silenzio o concentrati. Discriminare tra come la meditazione dovrebbe o non dovrebbe essere significa proiettarvi altre aspettative e pregiudizi. Di fatto è un ulteriore inganno. Non si diventa degli esperti, non si vincono medaglie alle olimpiadi. Si pratica per coltivare una diversa sensibilità verso ciò che accade, per imparare a rispondere invece che reagire e come si dice nello Zen, la meditazione migliore è l’ultima volta in cui ci siamo seduti. Questa sensibilità va portata nella vita di ogni giorno, in ogni piccolo gesto, in ogni azione che compiamo. Per guardare a noi stessi e all’esperienza da una prospettiva nuova. Per imparare a prenderci cura, con attenzione e consapevolezza, di ogni singolo momento, di ogni singolo respiro.
In questo modo potremo testimoniare quanto ogni istante sia un miracolo straordinario e ci apriremo all’amore e alla compassione verso la preziosità che riusciremo a vedere in ogni vita, in ogni forma di vita. La pratica ci aiuta a sviluppare la sua profonda qualità, l’eleganza spirituale che sboccia quando siamo sul nostro cuscino, quando camminiamo, lavoriamo, respiriamo, esistiamo.